Il Mondo da Scoprire - Episodio 3
Torino è una città ultramillenaria: ufficialmente la sua storia viene fatta cominciare nel I secolo d.C. con il nome di Augusta Taurinorum. I romani, infatti, capirono subito le sue qualità: un territorio vasto, pianeggiante, naturalmente protetto da monti e fiumi. A renderla famosa nel mondo, nel XV secolo, furono i Savoia, che la elessero centro del loro potere. Diventò capitale del Ducato sabaudo, quindi del Regno di Sardegna, poi fulcro politico del Risorgimento e prima capitale del Regno d’Italia tra 1861 e 1865. Nel XX secolo diventò un importante polo mondiale dell’industria automobilistica. Vestigia della sua secolare bellezza sono tutt’oggi visibili nei suoi monumenti, vie e piazze.
La Torino moderna
In città spiccano il suo contorno liberty, i suoi tocchi art nouveau e i suoi profili più moderni come quello della Mole Antonelliana e quello, contemporaneo, tratteggiato dal Grattacielo Sanpaolo firmato da Renzo Piano: 7.000 m² di superficie e 166,26 metri d’altezza per un totale di 38 piano fuori terra e 25 ascensori. Il grattacielo è un edificio unico per innovazione architettonica, materiali e tecnologie d’avanguardia: alimentazione geotermica, autoregolamentazione dell’illuminazione interna in base alla luce naturale, facciate a “doppia pelle” con lamelle di cristallo apribili. Il corpo principale è sorretto da una fondazione aerea detta “transfer” che, attraverso 6 megacolonne, scarica a terra il peso dei 32 piani superiori e dei 5 inferiori che ospitano l’auditorium sospeso. È alimentato con energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e da 1.600 m² di pannelli fotovoltaici. Per l’80 per cento è illuminato da lampade a LED. Circondato da terrazze con pavimentazione in bambù e parapetti di cristallo, nasconde numerosi angoli verdi, tra cui il Giardino Grosa, la serra bioclimatica e il giardino d’inverno.
Firmata da Renzo Piano è anche l’area del Lingotto, comprensorio di edifici situato nel quartiere Nizza Millefiori, adiacente all’omonimo quartiere Lingotto. Fu uno dei principali stabilimenti di produzione della fabbrica automobilistica FIAT, mentre oggi è un grande centro polifunzionale. I lavori per una sua ristrutturazione furono affidati all’architetto genovese nel 1985. Alla sommità, sempre realizzata per mano di Piano, la Pinacoteca Gianni e Marella Agnelli: inaugurata nel 2002, raccoglie una selezione di opere tratte dalla loro collezione personale. Lo “scrigno” è stato disegnato per contenere una sorta di “tesoro” artistico: lo stile architettonico rappresenta un’astronave di cristalli che riprende simbolicamente lo stile futurista della fabbrica originaria. La collezione comprende 25 opere d’arte scelte da Giovanni e Marella Agnelli, più alcune esposizioni temporanee. Sono presenti tra gli altri dipinti di Canaletto, Matisse, Balla, Picasso, Bellotto e due opere scultoree del Canova.
La Torino sabauda
Caratteristica di Torino, è la sua Corona di Delizie, il sistema di Residenze Reali volute storicamente dalla famiglia sabauda per circondarsi di sfarzose maisons de plaisance che costituisco il disegno architettonico nato tra Cinquecento e Seicento intorno alla città. Dal 1997, le Residenze Reali sono stati inserite nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Al centro, Palazzo Reale, sede della Regia Quadreria. Poi Palazzo Madama, capolavoro architettonico, sede del primo Senato che oggi ospita il Museo Civico di arte antica. La storica costruzione, prima porta romana, poi casaforte e castello medievale degli Acaia e successivamente dimora delle Madame Reali Maria Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, in epoca risorgimentale ospitò l’Aula del Senato Subalpino dal 1848 al 1861 e quindi accolse il Senato Italiano dal 1861 al 1864. L’ultima seduta si tenne il 9 dicembre 1864 con l’approvazione della legge per il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. L’articolo 33 dello Statuto Albertino stabiliva che i senatori fossero nominati a vita dal re tra i membri della nobiltà sabauda, massima espressione della volontà regia e governativa, come ricompensa per i servigi resi dagli illustri personaggi e dagli anziani funzionari della corte.
Il Museo del Risorgimento a Palazzo Carignano è la sede del primo parlamento (era dove era nato il re Vittorio Emanuele II): all’interno dell’aula sono chiaramente identificabili i seggi di Gioberti, D’Azeglio, Balbo e di Camillo Benso di Cavour. L’aula è sormontata da una lapide, sulla quale si possono leggere le parole: “Quest’aula, dove i rappresentanti del popolo subalpino costantemente cospirarono sotto gli auspici della casa Savoia a preparare l’Unità d’Italia lasciando l’esempio della più grandi unità civili e politiche fu dichiarato monumento nazionale con decreto del 04/03/1898”.
C’è la Villa della Regina, con la sua terrazza panoramica mozzafiato e c’è la Reggia di Venaria: “Qui si raggiunge l’apicalità della bellezza – spiega Michela Sgherzi, esperta del territorio –: splendidi giardini, interni mozzafiato con la meravigliosa architettura di luce firmata da Filippo Juvarra, divenuto architetto regio sotto Vittorio Amedeo II: a lui fu affidato il compito di far comprendere, attraverso l’arte, quanto fossero diventati importanti e influenti i Savoia. La Galleria Grande è strabiliarsi a vedersi, perfetto esempio di Barocco nazionale, con gli stucchi sol soffitto che narrano le gesta militari della casa sabauda”. L’armonia e le proporzioni conferite agli spazi, i sontuosi decori di stucchi, cornici, lesene della Galleria Grande, erano destinati a rendere l’impianto scenico juvarriano un capolavoro dell’architettura di tutto il Settecento. La Galleria, che collegava l’appartamento del re a quello dell’erede al trono, è uno degli ambienti più sorprendenti e spettacolari dell’intero complesso. Anche le dimensioni della Galleria sono del tutto ragguardevoli con un’altezza al centro volta di circa 15 metri, una lunghezza di circa 80 metri ed una larghezza di 12 metri. Una delle peculiarità della Galleria Grande è lo splendore dei fasci di luce generati dalle 44 ampie finestrature e dai grandi 22 “occhi” (aperture ovali all’interno e rettangolari all’esterno) posti sulla volta che consentono un gioco di luci e penombre tali da esaltare la varietà degli infiniti decori e delle due esedre, suggestionando inesorabilmente i visitatori.
Impossibile non citare la Palazzina di caccia di Supinigi – testimonianza eccezionale dello spirito del tardo Juvarra e di Benedetto Alfieri, si specchia e ritrova nel rococò internazionale delle residenze reali europee. È luogo di loisir per la caccia nella vita di corte sabauda, sontuosa e raffinata dimora prediletta dai Savoia per feste e matrimoni durante il XVIII e XIX secolo, nonché residenza prescelta da Napoleone nei primi anni dell’800. Agli inizi del XX secolo è scelta come residenza dalla Regina Margherita, e dal 1919 è anche sede del Museo dell’Arredamento – e il Castello di Rivoli, che oggi ospita il Museo di arte contemporanea.
Le Langhe
Uscendo da Torino, ci lasciamo alle spalle la città industriale e ci avviciniamo, spostandoci verso sud, a una vasta pianura costellata da coltivazioni e allevamenti: siamo nella provincia di Cuneo, detta anche “Provincia Granda” (la provincia di Cuneo conta oltre 580 mila abitanti: contando anche le 14 città metropolitane, è la ventinovesima provincia italiana per popolazione, seconda per numero di comuni, nonché la quarta per superficie subito dietro le province di Sassari, Bolzano e Foggia) o “Provincia delle 7 sorelle”, con riferimento alle 7 città più o meno grandi, che la compongono: Cuneo, Alba, Bra, Fossano, Mondovì, Savigliano, Saluzzo. Siamo sulle colline delle Langhe, separate dal Roero solo dal fiume Tanaro, il più importante del Piemonte dopo il Po.
Il questo percorso che da Torino ci porta in collina è punteggiato da altre Residenze sabaude, come il Castello dei Savoia Racconigi. Subito dopo, si incrocia Pollenzo: prima antica città romana poi piccolo borgo medievale. A partire dal 1835, sull’area della città romana Pollentia, per volontà di Carlo Alberto nacque una Tenuta reale di casa Savoia. Centro economico-finanziario della tenuta fu l’Agenzia che, nelle intenzioni di Carlo Alberto, sarebbe diventata una masseria modello per mezzo della quale condurre esperimenti per il miglioramento nella redditività delle attività agricole. Un importante progetto per ridare nuova luce all’agenzia Carlo Albertina è stato avviato a inizio del 2000 grazie all’idea, promossa da Slow Food, di recuperare e restituire ad un utilizzo pubblico quel complesso architettonico. Dopo i lavori di recupero, terminati nella primavera del 2004, oggi l’Agenzia ospita la sede dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, la Banca del Vino, Guido ristorante e l’Albergo dell’Agenzia.
L’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche è il primo ateneo al mondo interamente dedicato alla cultura del cibo. Ha attivato i propri corsi il 4 ottobre 2004. Promossa e fondata dall’associazione internazionale Slow Food, insieme alle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, è un’università non statale legalmente riconosciuta dal Ministero dell’Università e Ricerca, dedicata alla diffusione della cultura enogastronomica. L’università costituisce un centro internazionale di formazione, ricerca, documentazione e catalogazione, al servizio di chi opera per un modello di agricoltura rinnovata per il mantenimento della biodiversità e per realizzare un rapporto organico tra gastronomia e scienze agrarie.
Quanto alla Banca del Vino: nelle ottocentesche cantine dell’Agenzia di Pollenzo, dove è nato l’attuale metodo di vinificazione dei grandi rossi piemontesi, oltre 300 produttori hanno depositato parte dei loro migliori vini. La Banca del Vino nasce da un’idea avanzata da Carlo Petrini alla fine degli anni Novanta allo scopo di costruire la memoria storica del vino italiano, selezionando, stoccando e conservando le migliori bottiglie della penisola. È un posto unico al mondo, in cui si possono conoscere e degustare le produzioni più significative di un’intera realtà nazionale; un caveau aperto al pubblico che custodisce la ricchezza e la storia del vino italiano rendendolo disponibile negli anni a venire.
“Seguendo il percorso del Tanaro, nel bel mezzo delle colline del vino, tra un castello e una cantina sorge Fontanafredda – spiega Stefano Ricca, appassionata guida del territorio –: era un borgo totalmente autosufficiente, con le residenze di chi ci lavorava, la scuola e la chiesa”. Vittorio Emanuele II lo lasciò in eredità ai figli avuti dal matrimonio morganatico (quel tipo di matrimonio che impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito – solitamente avviene tra persone di diverso rango sociale) con Rosa Vercellana, meglio nota in piemontese come la Bela Rosin. La tenuta di Fontanafredda – siamo nel comune di Serralunga d’Alba – è punto di riferimento per il turismo enogastronomico: qui, infatti, si produce il celeberrimo Barolo.
I vini delle Langhe
Il Barolo, definito negli ultimi anni “Il re dei vini, il vino dei re” è il cuore pulsante dell’area vitivinicola delle Langhe, motore potente e prestigioso che fa viaggiare tutte le eccellenze della Regione Piemonte. La storia e l’economia delle Langhe sono state segnate dal percorso intrapreso dal vitigno Nebbiolo (l’unico utilizzabile al 100% per la produzione del Barolo, con le diverse sottovarietà: Lampia, Michet e Rosè), coltivato in zone uniche, nel tempo divenute veri must, simbolo di orgoglio e vanto che ogni anno i quasi 800 produttori mostrano con orgoglio al panorama vinicolo mondiale. Come vogliono tradizione e disciplinare di produzione, i comuni in cui l’uva Nebbiolo diventa Barolo sono 11, distribuiti su un’area di circa 1700 ettari: Cherasco, Verduno, Roddi, La Morra, Grinzane Cavour, Castiglione Falletto, Diano d’Alba, Barolo, Novello, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba- Sono solo loro le essenze che compongono la DOCG Barolo dal 1980. Ogni comune, zona, sottozona, vigneto e parcella sono espressioni magiche ed eterogenee, che si celano dentro ogni singola annata e bottiglia. Il Barolo, per poter essere chiamato così, deve invecchiare almeno 38 mesi a decorrere dal 1 novembre dell’anno di produzione delle uve, di cui 18 in botti di legno, mentre il termine “Riserva” compare in etichetta dopo 5 anni di affinamento. Il colore, come spiega Erika Mantovan nel sito Stradedelbarolo.it “è rosso rubino fresco e vivo, che tende all’aranciato nel tempo. Al naso gli inconfondibili profumi dell’uva Nebbiolo di rosa e confettura di frutta rossa si accompagnano a quelli boisé dati dal passaggio in legno, richiamando piacevoli note calde di tostato, vaniglia e tabacco. Nel palato la forza struggente del tannino in giovane età è la base della struttura che saldamente perdurerà negli anni. Un’intensa freschezza di frutta surmatura, quasi cotta, con aromi di menta e di sottobosco si trasformano in un finale dai retrogusti caldi e imperiosi”. A Barolo sorge anche il Museo del Vino (WiMu – Wine Museum) e l’Enoteca regionale del Barolo.
Dei 77 vini DOCG nazionali, una ventina affondano le radici su queste colline, dolcemente adagiate tra le province di Cuneo e Asti: Barolo, certo, ma anche Nebbiolo, Barbaresco, Barbera, Dolcetto. E, per esempio, anche Arneis e Favorita come varietà di vini bianchi. A tutte queste eccellenze vanno aggiunte alcune varietà internazionali impiantate negli ultimi anni che hanno dato risultati sorprendenti.
I prodotti delle Langhe
Le Langhe possono essere divise in Bassa Langa e Alta Langa, a seconda dell’altitudine: la Bassa Langa è quella coltivata esclusivamente a vitigni, mentre l’Alta si caratterizza per la presenza di noccioleti: la nocciola di queste zone è la “Tonda gentile del Piemonte” (IGP), al centro della produzione artigianale e industriale dolciaria del Piemonte. Il nocciolo è stato uno dei primi fruttiferi utilizzati e coltivati dall’uomo, rappresentando già per le prime popolazioni nomadi una importante fonte di energia. Nel 1806 Napoleone, a seguito della guerra contro l’Inghilterra, impone il blocco delle importazioni da quel paese, tra cui il cacao, rendendolo quasi introvabile e a prezzi proibitivi. I maestri pasticceri torinesi iniziarono a miscelare il poco cacao rimasto con la più economica Nocciola Tonda Gentile Trilobata; fu la nascita di un nuovo prodotto chiamato Gianduja. Verso il 1930 si diffonde nelle Langhe la coltivazione del nocciolo grazie all’appassionata attività del Prof. Emanuele Ferraris il quale dimostrò all’epoca come l’albero del nocciolo fosse più resistente e duraturo della vite. La Nocciola Piemonte IGP va conservata in ambienti freschi e ventilati per evitare l’eventuale irrancidimento. Si possono mangiare appena colte o dopo l’essiccatura. Il prodotto è prevalentemente utilizzato nell’industria dolciaria per la preparazione di creme, torte, gelati o come ingrediente nel tipico cioccolatino piemontese, il gianduiotto, e nel caratteristico torrone natalizio, dove la nocciola costituisce l’ingrediente fondamentale ed esprime al meglio le proprie caratteristiche. Sono molti gli usi anche in molti piatti salati.
Dalla nocciola alle lumache. La capitale italiana delle lumache è Cherasco, sede dell’Istituto internazionale di elicicoltura. Il disciplinare che conferisce alle chiocciole da allevamento il prestigioso titolo di Chiocciola Metodo Cherasco è semplice ma impegnativo da rispettare: si ispira in maniera ortodossa alle leggi della natura e, per questo, non sono concesse alternative a un modello all’aperto, senza intervento umano che crei il riparo dalle condizioni del tempo: sole, pioggia, neve e vento fanno la selezione degli animali che arriveranno sulle cucine degli chef più prestigiosi e delle preziose casalinghe, a cui è affidato il compito di preservare le ricette della tradizione culinaria regionale. “Il nostro intento – spiegano dall’Istituto – è quello di scommettere senza esitazioni sulla qualità, operando una scelta ortodossa, ma consapevole, che non tiene in considerazione il valore della quantità a discapito del pregio. Chiocciola Metodo Cherasco non si pone l’obbiettivo di identificare la città con una specie di chiocciola, semplicemente perché non esiste una specie autoctona, ma vuole sicuramente omaggiare la tradizione che questa comunità ha protetto e valorizzato. Il nostro sforzo è proteso verso l’affermazione e la diffusione, consapevole, di un’elicicoltura di qualità, che rispetti la natura accettando i limiti che questa impone, orientata esclusivamente al raggiungimento di uno standard qualitativo elevato”.
Spostandosi a Bra, arriva il momento dei formaggi: Bra, per la sua vocazione di centro di stagionatura e commercio dei formaggi dei malgari cuneesi, dà il nome a un formaggio di latte vaccino, nelle sue varianti tenero e duro. Il Formaggio Bra è un prodotto a denominazione d’origine protetta (DOP), riconoscimento tributatogli assieme ad altri nobili formaggi cuneesi quali il Castelmagno, il Raschera e la Toma di Murazzano il 1 luglio 1996 dopo che, a partire dal dicembre 1982, questi prodotti potevano fregiarsi della denominazione d’origine. Da citare anche la Salsiccia di Bra, prodotto tradizionale della salumeria braidese. In Piemonte la produzione di salciccia – come vuole la dizione popolare che si rifà al dialetto – è assai variegata a seconda delle tradizioni e delle abitudini alimentari locali. Una delle più pregiate e singolari è proprio quella di Bra, preparata con carni magre di bovino e pancetta di suino. Un tempo veniva preparata solo con carne bovina, poiché nel vicino comune di Cherasco esisteva un’importante comunità ebraica che si approvvigionava presso il mercato braidese.
Per raccontare l’enogastronomia piemontese non è possibile prescindere dal tartufo, vero e proprio tesoro del territorio. Delle 7 varietà presenti, il più pregiato è sicuramente il Tartufo Bianco d’Alba. Il Tartufo Bianco d’Alba ha una forma globosa spesso anche appiattita e irregolare, con peridio giallo pallido o anche ocraceo. La gleba, percorsa da numerose venature bianche, molto ramificate, varia dal color latte, al rosa intenso, al marroncino. Le dimensioni sono variabili. Si raccoglie dalla tarda estate, durante tutto l’autunno, fino all’inizio dell’inverno. È un fungo assolutamente spontaneo: a oggi non esistono tecniche di coltivazione. Un cercatore (in piemontese trifolau) accompagnato dal cane si addentra nel bosco alla ricerca del prezioso fungo ipogeo, guidato solo dal fiuto dell’animale e dall’intuito maturato in anni di esperienza: è il momento più emozionante per un appassionato di tartufi. Il Tartufo bianco d’Alba cresce spontaneamente, in simbiosi con alberi o arbusti specifici. Queste aree sono caratterizzate da un equilibrio ecologico estremamente delicato, al quale è necessario dedicare attenzione e cure agronomiche. Alba ogni anno ospita anche la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, giunta quest’anno alla sua 90esima edizione.
“È incredibile – annota Ricca – come una zona tanto rinomata sia da un punto di vista paesaggistico, sia da un punto di vista enogastronomico, abbia incontrato tanta fortuna e prosperità solo di recente. Escluso il periodo della Casa sabauda, queste terre fino alla seconda guerra mondiale hanno conosciuto la fame più nera, quella raccontata anche da Beppe Fenoglio e Cesare Pavese. La rivincita è completa: i paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato nel 2014 sono stati dichiarati 50esimo sito Unesco sul territorio italiano”.
Ascolta il podcast Robintur dedicato a Torino e le Langhe.
Luglio 2020
il mondo secondo robintur
Città che rimangono nel cuore, panorami indimenticabili, esperienze imperdibili: leggi e lasciati ispirare.