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Sardegna da scoprire

Il Mondo da Scoprire - Episodio 5

In italiano si chiama Sardegna. In sardo si chiama Sardìgna o Sardìnnia; in sassarese Sardhigna; in gallurese Saldigna, in algherese Sardenya. Puoi chiamarla come vuoi, ma della stessa, affascinante, regione italiana si tratta. Strade litoranee che lasciano senza fiato, misteriosi siti preistorici, affascinanti riti religiosi e oltre 4 milioni di pecore. La Sardegna è unica, con il suo selvaggio entroterra, le sue magnifiche spiagge e le sue incantevoli peculiarità.

È divisa in 4 province (Nuoro, Oristano, Sassari, Sud Sardegna), una città Metropolitana (Cagliari) e 377 comuni. David Herbert Lawrence scrisse che “la Sardegna è diversa”, ed effettivamente è questa l’idea che molti anni quando, per la prima volta, approdano sull’isola. Come altro si potrebbe definire un territorio dove è possibile passare da scenari quasi dolomitici a distese di sabbia bianchissima? Acque verdi e rovine nuragiche, grotte subacquee e rovine sommerse, formaggio brulicante di vermi e croccante porceddu. E poi tradizioni e leggende, riti religiosi e canti unici.

Raccontare in maniera esauriente la Sardegna non è possibile.
Quello che vi proponiamo non è che un assaggio della grandiosa bellezza sarda.

Costa Smeralda

Un tratto di costa frastagliata lungo 50 chilometri, tra Olbia e Arzachena: è la Costa Smeralda. Siamo nella costa nord-orientale dell’isola. “Oggi è forse il più famoso porto del Mediterraneo ma per lungo tempo è stato uno spazio dimenticato, uno dei tanti litorali della Gallura, disseminato di affioramenti granitici e piccoli ruscelli invernali che accumulavano alla foce pochi metri di sabbia”, spiega Giommaria Tuveri, antropologo. Poi, negli anni Sessanta, quest’angolo di paradiso venne scoperto, mentre veleggiava con il suo panfilo tra onde sconosciute, dal principe Karim Aga Khan, 49esimo Imam dei musulmani Ismailiti Nizariti. Se ne innamorò e divenne l’artefice della trasformazione di quella costa incontaminati in punto di ritrovo del jet set mondiale. “Affidò le costruzioni ad architetti geniali che, con criteri originali e innovativi, realizzarono l’armoniosa sintesi tra natura e opera umana – continua Tuveri –: le strutture dovevano avere forme sinuose come le rocce di granito levigate nei millenni dagli agenti atmosferici; i muri e le pareti dovevano rimanere grezzi come il granito; l’altezza non doveva superare quella dei costoni rocciosi; i colori dovevano richiamare il rosa e il grigio della pietra,  l’oro delle spiagge, le tinte pastello della macchia mediterranea in primavera. L’Aga Khan diede vita alla compagnia aerea Alisarda (poi diventata Meridiana) e nel 1696 fece costruire il nuovo aeroporto Olbia-Costa Smeralda, diventato il più importante scalo internazionale dell’isola. Fondò Porto Cervo e fece costruire il suo capiente porto, dove ogni anno attraccano gli yacht più lussuosi.

Se si esclude il meraviglioso paesaggio costiero che lo circonda, Porto Cervo non ha nulla di sardo. Tra locali mondani, boutique e gioiellerie extralusso, in paese vale la pena vedere la Chiesa di Stella Maris, scrigno di opere d’arte (un aristocratico olandese lasciò in eredità alla chiesa la Mater dolorosa di El Greco), ed è decisamente intrigante perdersi tra le piazzette e le viuzze del centro città.

Tra le più belle insenature raggiungibili via terra, Spiaggia Capriccioli, una baia a forma di mezza luna, sabbia finissima, macchia mediterranea e acque poco profonde; Spiaggia Romazzino, con la sua sabbia dai riflessi rosati e l’inebriante profumo del rosmarino (da cui il nome) che qui cresce in abbondanza; Spiaggia Liscia Ruia, un lungo arco di sabbia chiara e finissima e acque cristalline, da cui si intravvede l’Hotel Cala di Volpe, il più esclusivo dell’isola, un sontuoso complesso in stile moresco.

L’Asinara

Dalla costa nord-orientale ci spostiamo verso Occidente e navighiamo sino al Parco Nazionale dell’Asinara (il più piccolo dei tre parchi nazionali della Sardegna), dal nome sul suo abitante più famoso, l’asinello bianco. È raggiungibile solo partecipando alle escursioni in partenza da Stintino o Porto Torrese, ma ne vale la pena, soprattutto per gli amanti degli animali. Si tratta, infatti, di un paradiso per la fauna selvatica: oltre che i tipici asini, vivono qui altre 80 specie animali, tra cui il muflone e il parco pellegrino.

Per anni l’isola ha ospitato una delle più famose carceri di massima sicurezza italiane. La colonia penale agricola dell'Asinara aveva diversi distaccamenti su tutta l'isola: da qui transitarono molti pericolosi criminali, tra cui il camorrista Raffaele Cutolo e il boss mafioso Totò Riina. All’Asinara soggiornarono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che trascorsero un breve periodo sull’isola per motivi di sicurezza personale. Al tempo, il carcere veniva considerato una piccola Alcatraz: qui solo un detenuto riuscì a fuggire (il primo settembre 1986) nei suoi 112 anni di attività. Era Matteo Boe, bandito sequestratore sardo: nell’evasione il suo complice, Salvatore Duras, fu catturato mentre Boe riuscì a fuggire a bordo di un gommone. Il supercarcere fu definitivamente chiuso nel 1997.

Monte d’Accoddi e il Nuraghe di Santo Antine

Dalle coste nord-occidentali, viaggiamo verso l’entroterra sassarese per incontrare due siti imperdibili per chi si trova a transitare da quelle parti. Monte d’Accoddi – siamo nella Nurra – è un importante sito archeologico, attribuito alla Cultura di Abealzu-Filigosa (2700-2400 a.C.), della Sardegna prenuragica. Per la concentrazione di differenti tipologie di costruzione, il monumento è considerato unico non solo in Europa, ma nell’intera zona del mar Mediterraneo, tanto particolare da essere associato per la forma alle strutture di più piani orizzontali sovrapposti (le ziqqurat mesopotamiche). Da non perdere, l’altare sacro preistorico più antico d’Europa.

A Torralba si trova invece il Nuraghe del complesso monumentale di Santu Antine (XV sec. a.C), caposaldo di tutto il sistema insediativo della Valle dei Nuraghi. Rappresenta la sintesi e l’apogeo dell’architettura di età nuragica. Ai piedi del nuraghe si estende il villaggio nuragico, solo in parte messo in luce dagli scavi. Le capanne subirono modifiche strutturali in età romana già nel II secolo a.C e, dopo un breve periodo di abbandono (metà I sec. a.C.), sulle strutture meridionali del villaggio fu impiantata una villa rustica.

Nuoro

Addentrandoci nell’entroterra, raggiungiamo Nuoro. La città ha come spettacolare sfondo il Monte Ortobene (quasi mille metri d’altezza), sormontato dalla statua bronzea del Cristo Redentore che dal 1901 abbraccia questa zona, che si spinge dalla Valle del Cedrino fino a Dorgali e Orgosolo. Siamo in Barbagia. Da visitare la piccola Chiesa della Solitudine: nonostante 36 anni di vita romana, Grazia Deledda, nuorese di nascita, ebbe sempre a cuore questi luoghi. Qui sono conservati i suoi resti. “Imprescindibile è una visita al Museo Etnografico del costume e delle tradizioni sarde, uno ‘spaccato’ della cultura tradizionale, materiale e immateriale, con abiti, gioielli, maschere, tessuti, strumenti da lavoro e riferimenti a canto tradizionale, devozione e feste”, spiega Elena Marcon, studiosa delle tradizioni sarde. Da non perdere, la sala dedicata al pane: “In Sardegna il pane non è solo un alimento, ma ha un valore sacro. Scandisce i momenti cruciali dalla vita: la nascita, il matrimonio, la morte, le festività.

Ogni momento ha un suo pane, che diventa sacro quando viene lavorato con estrema precisione fino a diventare un gioiello, con intarsi di fiori, foglie, animali”. C’è poi la parte dedicata ai costumi, tutti diversi: ogni paese ha il suo, perfettamente riconoscibile. Ci sono i colori fiammanti dei sardi di montagna, gli abiti con influenze armene di Orgosolo e Desulo, i copricapi simili a burqa delle donne di Ittiri e Osilo. Incredibile la sala dedicate alle maschere, che nulla hanno a che fare con il carnevale comunemente inteso: si ispirano, invece, a riti ancestrali di comunità pastorali e contadine. Ci sono maschere zoomorfe e antropomorfe, le giacche di montone e i campanacci (ogni maschera arriva a caricarsene anche 30 chili) che, con i loro batacchi, allontanano gli spiriti maligni. I più noti sono sicuramente i mamuthones di Mamoiada (ascolta il nostro podcast per saperne di più), accogliente centro di 2500 abitanti nel cuore della Barbagia di Ollolai, al confine tra Gennargentu e Supramonte (sì, è proprio il Supramonte di Hotel Supramonte di De Andrè: ascolta il nostro podcast e la nostra playlist per saperne di più).

Golfo di Orosei

A un’ora di strada da Orgosolo, il Golfo di Orosei. Paesaggi immensi, stupendi e mai uguali, come un enorme mosaico: cime inaccessibili, pascoli verdi, altopiani, canyon, foreste secolari, falesie a picco su acque cristalline, grotte e spiagge. Dalla montagna al mare: l’oasi naturalistica che comprende il golfo di Orosei e il massiccio del Gennargentu è una delle mete più spettacolari della Sardegna, ideale per escursioni in itinerari di trekking e mountain bike. L’area protetta, istituita nel 1998, copre 74 mila ettari nel territorio di 27 centri di Barbagia, Mandrolisai e Ogliastra: ogni Comune gestisce e salvaguarda la sua porzione di paradiso. Nel sistema montuoso del Gennargentu spiccano Punta Lamarmora (1834 metri) e Bruncu Spina (1829), vette dalle quali lo sguardo può spaziare a 360 gradi su tutta l’Isola. Il massiccio è legato ad altopiani di calcari e dolomie, i supramontes di Orgosolo e di Oliena, con la valle di Lanaittu e il monte Corrasi. Da non perdere le foreste di Uatzo, Montarbu e Montes, dove risiede la lecceta secolare sas Baddes. Attorno spuntano distese di macchia mediterranea: corbezzoli, ginepri, lentischi, accompagnati dal profumo di elicriso, rosmarino e arbusti aromatici. Le zone più impervie sono habitat del muflone, accanto al quale sono ‘tornati’ cervo e daino. Il cinghiale è ovunque, accompagnato da donnola, gatto selvatico, ghiro, lepre, martora e volpe. Sulle creste più alte volano aquila reale e falco pellegrino, nelle falesie a picco sul mare il falco della regina. Sono diffusi astore, picchio rosso, poiana e sparviero. All’elenco di meraviglie assolutamente da visitare vanno aggiunti la sorgente carsica de su Gologone, il canyon su Gorropu, con pareti sino a 450 metri, l’enorme dolina su Suercone, inghiottitoio con dentro tassi secolari, le grotte su Bentu e sa Oche, Perda ‘e Liana, Perda Longa, su Sterru, su Texile e il villaggio nuragico di Tiscali. I rilievi scivolano fino al mare, uno dei tratti di costa più affascinanti del Mediterraneo: 40 chilometri da Cala Gononi (Dorgali) a Santa Maria Navarrese (Baunei) con scenografiche pareti a strapiombo dove si aprono grotte, come quelle del Bue Marino, codule lucenti di oleandri e ginestre e incantevoli calette: Fuili, Luna, Sisine, Biriola, Mariolu e Goloritzè. Nel golfo, un tempo regno della foca monaca, nuotano balene e delfini.

Orgosolo

Orgosolo rivela un profondo legame con le sue radici barbaricine e con usi e costumi di un tempo: è la patria del canto a Tenore, patrimonio dell’Umanità Unesco, è il paese dei murales (ascolta il nostro podcast). Il borgo, di 4500 abitanti, è famoso in tutto il mondo per i suggestivi dipinti che adornano stradine e piazze, case del centro storico e facciate di nuovi edifici. Narrano di politica e cultura, intimo dissenso e lotte popolari, malessere e giustizia sociale, vita quotidiana e tradizioni pastorali. Alla fine del XIX secolo, il paese assurse alla ribalta per il banditismo: il regista Vittorio De Seta, in Banditi a Orgosolo (1961), ne descrive la lotta in difesa delle terre espropriate dallo Stato. Durante il Novecento si sviluppò il fermento culturale, tuttora attivo, del muralismo, in origine strumento di protesta. Vari artisti, sia locali che internazionali, hanno contribuito a creare un museo a cielo aperto: è possibile ammirare un patrimonio di 150 opere, che colpiscono per vivacità di colori e pregio stilistico. Altra tradizione atavica è ‘su lionzu’, raffinata benda che incornicia il viso negli abiti femminili. Per l’ordito si usano fili di seta (ricavata dal baco allevato in loco) mentre la trama è colorata con lo zafferano. Da fissare due date: a Ferragosto sa Vardia ‘e mes’Austu, sfrenata corsa di cavalli, e a metà ottobre Gustos e Nuscos, tappa orgosolese di Autunno in Barbagia: l’accoglienza prende il gusto de ‘sa purpuzza’, antica ricetta di carne. Il centro abitato si distende a circa 600 metri d’altitudine sulle pendici del monte Lisorgoni, propaggine del massiccio del Gennargentu, dominando le vallate attraversate dal fiume Cedrino. Attorno lo spettacolare e impervio paesaggio del Supramonte di Orgosolo: natura selvaggia e incontaminata nel cuore della Barbagia di Ollolai, da esplorare accompagnati da guide esperte, in in sentieri di trekking battuti solo da vento, cinghiali e mufloni, per secoli rifugio di banditi e pastori.

Ulassai

Scendendo verso sud, Ulassai. Con un’alta percentuale di persone longeve fra i suoi 1500 abitanti contribuisce a una delle cinque blue zone (‘zona blu’: è un termine usato per identificare un’area demografica e/o geografica del mondo in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media mondiale) del mondo (ascolta il nostro podcast). Ulassai sorge nell’Ogliastra più interna, incassato a quasi 800 metri d’altezza fra tacchi calcarei, sulle cui pendici ricoperte da foreste sempreverdi che ospitano l’oasi faunistica di Girisai, si aprono spettacolari grotte, come is Lianas. E soprattutto su Marmuri, ‘il marmo’: si cammina per 850 metri in saloni con pareti altissime, laghetti e stalattiti che si uniscono a stalagmiti formando enormi colonne. Per arrivare a una delle più imponenti d’Europa, si percorrono sentieri fra profonde gole, meta di professionisti di free climbing. Dalle grotte affiorano acque sotterranee e, sotto su Marmuri, formano le cascate di Lecorci, che sgorgano impetuose da pareti lisce. Il percorso delle acque incrocia le cascate di Lequarci, le maggiori dell’isola, che compiono un salto di quasi cento metri con una larghezza massima di 70. A valle si riversano in una miriade di laghetti in località Santa Barbara. Qui, in mezzo alla foresta, è possibile visitare una chiesetta bizantina. Intorno stanno ‘is cumbessias’ che servivano da alloggi per i pellegrini durante le celebrazioni della santa.

Tutt’oggi sono le più sentite dalla comunità ulassese, a fine maggio, con processione, accompagnata da launeddas (strumento musicale a fiato policalamo ad ancia battente) e gruppi folk, sagra con degustazione di prelibatezze e gara poetica. Il borgo è un museo a cielo aperto, in armonia tra architettura cittadina, natura e opere d’arte. A impreziosire l’atmosfera,  la Stazione dell’Arte, che custodisce il ‘genio multiforme’ dell’artista Maria Lai, cittadina più celebre di Ulassai. Prima dell’avvento della ferrovia (1893) il borgo non era collegato fuori dall’Ogliastra: l’isolamento ha conservato tradizioni ataviche, come l’uso del telaio orizzontale, costumi e balli, produzione artigianale di formaggi e prosciutti e la panificazione nei forni a legna: in ogni casa ce n’è uno. A oriente, la valle del rio Pardu è coltivata a uliveti e vigneti, da cui i rinomati olio d’oliva e il cannonau. Famosi sono anche il miele di corbezzolo e piatti tipici come ‘culurgiones a sa spighitta’ (pasta ripiena chiusa a spiga) e ‘coccoi prena’ (un tortino salato ripieno).

La cucina sarda

I vini

Ricotta dolce, aragosta, gamberi rossi. Timo, rosmarino, corbezzolo, olive e agrumi. Agnello e maialino cucinati all’aperto allo spiedo. In Sardegna la cultura del cibo è fortemente legata con le tradizioni e l’ambiente naturale. Se a questo si aggiungono i meravigliosi panorami e alcune tra i migliori e più noti vini italiani, il risultato sarà un’esperienza indimenticabile.

“La coltivazioni dei vitigni in Sardegna risale all’epoca nuragica, età del bronzo – spiega Franco Achenza, studioso di paesaggio –. Ogni zona ha il suo vino tipico: per esempio il vermentino in Gallura, il cannonau nell’entroterra, soprattutto tra Barbagia e Ogliastra”.

Il vermentino è un vino bianco semiaromatico, perfetto per i piatti di pesce delicati della cucina costiera. A pochi chilometri da Porto Cervo c’è la Cantina Surrau, 50 ettari di vitigni: fiore all’occhiello della sua produzione, il Vermentino di Gallura Superiore Sciala, bottiglia DOCG.

Da segnalare, il Vermentino di Monti prodotto dall’omonima cantina: un nome su tutti, l’Arakena Vermentino di Gallura DOCG 2018.

“A pochi chilometri da Alghero, dal 1959, fa bella mostra di sé la Cantina Santa Maria la Palma – continua Achenza –. Il suo vino Aragosta Vermentino DOC rappresenta il simbolo della gastronomia algherese”.

Poi c’è il cannonau, tra i vitigni più antichi del Mediterraneo: rosso e corposo, perfetto per arrosti di carne e formaggi stagionati. “Viene prodotto nella zona centrale, tra Oliena – dove viene chiamato Nepente – e Orgosolo. Il Nepente, nelle sue varianti standard, classico e riserva, è uno dei prodotti in assoluto meglio riusciti”.

Filindeu e carasau

Da cinque secoli a oggi, ogni anno, durante le notti del primo maggio e del 4 ottobre, si svolge a Lula la festa di San Francesco. Fedeli in pellegrinaggio percorrono le strade barbaricine per recarsi presso il santuario del santo sulla collina dominata dal monte Albo. Nel clima di raccoglimento e spiritualità, dalle mani delle donne ai piatti dei pellegrini si trasferisce una prelibatezza: su filindeu, i fili di Dio, una minestra che riscalda il corpo e nutre l’anima. Semola, acqua, sale, brodo di pecora e formaggio. Si tramanda di madre in figlia, si prepara in gruppo, con le vicine di casa, con le nipoti. L’impasto si divide, se ne prende un pezzetto in mano, si tira e si uniscono le due estremità. Ed ecco spuntare i primi due fili. Si tirano e si ricongiungono. E così via, per otto volte, fino a ottenerne 256. Si prendono e si stendono sul fondo di legno fino ad averne tre strati, posti a intreccio. Una volta seccata al sole la pasta viene spezzata, immersa nel brodo saporito e mescolata con il formaggio fresco. Un piatto raro, servito molto caldo, del quale sono custodi poche donne che donano il loro tempo ad insegnarne la passione.

Anche il pane carasau ha radici antiche. Conosciuto in Italia col nome di ‘carta da musica’, per via della sua sonora croccantezza, anche il carasau cela una storia collettiva fatta di impegno, preghiera e gioia. La sua preparazione iniziava prima dell’alba e terminava nel pomeriggio, protagoniste amiche, parenti e vicine di casa. Si pregava per la buona lievitazione con una croce sulla pasta ancora morbida e si facevano scongiuri per preservarne la buona riuscita. Poi si infornava e li, ore e ore di fronte al forno, tra il profumo e le mani imbiancate dalla farina, si raccontavano storie, ci si confidava e si rideva.

La fase finale, la ‘carasadura’, ossia la tostatura, era il verdetto finale, grazie al quale le donne potevano finalmente tirare un sospiro di sollievo. Improvvisamente si aveva fra le mani qualcosa da donare per nutrire e prendersi cura dei familiari e degli amici. Croccante e buono anche dopo molti giorni, questo pane è da da secoli ospite immancabile delle tavole sarde, come simbolo di bontà e condivisione.

I formaggi

Pane, pasta, carne, pesce, dolci. La tradizione enogastronomica sarda è ricchissima. Con un patrimonio ovino di circa 4 milioni di pecore, tra i prodotti top non poteva che esserci la produzione di pecorino (forte di un’esperienza nel campo di quasi 5 mila anni, la Sardegna produce circa l’80 per cento del pecorino italiano), soprattutto in Barbagia e Ogliastra, patrie anche di una eccellente produzione di caprini. Si va dai pecorini piccanti a quelli affumicati, dai cremosi formaggi di capra alle ricotte, senza dimenticare le specialità come i canestrati, formaggi insaporiti con grani di pepe ed erbe aromatiche. Tra le varietà a base di latte vaccino, spiccano la fresa a pasta molle e la peretta, una provola a pasta filata.

Volendo (e potendo) ci si può spingere sino al casu marzu, il formaggio brulicante di vermi: si tratta di un formaggio molle di caprai deliberatamente infestato dalle larve della mosca del formaggio, conosciuta come mosca casearia, i cui acidi digestivi rompono i grassi del formaggio accelerandone la fermentazione e provocandone rapidamente la decomposizione. Il liquido dal sapore pungente che trasuda dal formaggio viene chiamato lagrima. Per gli estimatori è il formaggio più saporito del mondo. Sebbene questo formaggio sia considerato un “prodotto agroalimentare italiano” e dunque sia escluso dalla norme igienico-sanitarie imposte dall’Unione Europa, servirlo e venderlo è illegale. In genere viene prodotto per il consumo privato.

 

Ascolta il podcast Robintur dedicato alla Sardegna.

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