Il Mondo da Scoprire - Episodio 7
Etruria, terra dalla storia millenaria, ricca di innumerevoli attrattive paesaggistiche, archeologiche, storico-artistiche e culturali. Siamo nella zona tra Arno e Tevere dove, tra IX e I secolo avanti Cristo, visse e prosperò la civiltà etrusca. Tuscia, venne chiamata, dopo il dominio di quel popolo dell’Italia antica. Non coincide con nessuna delle regioni di oggi: assomiglia alla Maremma, unisce Populonia e Capalbio, Bolsena e Viterbo.
La provincia di Viterbo
Cuore dell’Etruria, il viterbese. Viterbo è definita da secoli la città dei Papi, in memoria del periodo in cui la sede papale fu appunto spostata in questa città che ancora porta i segni di quel fasto, pur avendo origini ancora più antiche. La “Città dei Papi”, capoluogo di antica origine etrusca e di grandi tradizioni storiche, conserva un assetto monumentale tra i più importanti del Lazio: aristocratici palazzi, monumenti ricchi di opere d’arte di spiccato interesse, suggestivi quartieri medievali, chiese e chiostri di varie epoche, torri slanciate ed eleganti fontane in peperino (la tipica pietra delle costruzioni viterbesi). Il nucleo storico iniziò a svilupparsi verso l’anno 1000 intorno all'antica Castrum Viterbii sul Colle del Duomo e nel breve volgere di poco più di due secoli, raggiunse uno sviluppo talmente notevole da contendere alla vicina Roma l’onore e l’orgoglio della sede papale. È cinta da alte mura medievali merlate e da massicce torri (costruite dal 1095 al 1268), ancora oggi pressoché intatte, con accesso da 8 porte.
Da non perdere, il Quartiere Medievale di San Pellegrino. Si può accedere al quartiere da Piazza San Carluccio, originariamente chiamata Piazza San Salvatore, dal nome di una piccola chiesa della quale non vi è più traccia. Lo stesso nome aveva l’attigua fontana, probabilmente risalente al XIII sec., a vasca quadrangolare. Frontalmente, l’elemento cubico della fontana è decorato con la testa di un leone nelle cui fauci è innestato il bocchettone sotto il quale sono scolpiti due stemmi, di cui uno è quello della famiglia Gatti, caratterizzato da quattro bande orizzontali. Alla medesima altezza, sul lato sinistro, campeggia lo stemma appartenente alla famiglia degli Anguillara, recante due anguille incrociate, mentre sul lato destro quello della famiglia Gatti. A destra della fontana di San Carluccio si apre la via di San Pellegrino, che è il principale asse viario del quartiere medioevale. Scrive Andrea Scriattoli nell’opera “Viterbo nei suoi Monumenti”: “Lungo questa via è un succedersi continuato di volte oscure e depresse, di torri che levano al cielo le cime possenti o i monconi diroccati, di avanzi di poggioli decorati a dentelli e a punta di diamante, e di casette corrose dai secoli a cui si sale con arditi rampanti e sulle cui pareti si apre ancora qualche finestra sotto un arco romanico o nella sagoma di una ogiva”. Caratteristica del quartiere sono i “profferli”, particolari scale esterne che conducono al pianerottolo di accesso delle dimore e la “casa a ponte”, tipo di abitazione che unisce due fabbricati, separati dalla strada, all'altezza del primo o del secondo piano, creando suggestivi passaggi coperti.
Le terme dei Papi
Narra la leggenda che Ercole, di passaggio nell’Etruria, fosse sfidato dai Lucumoni etruschi a dare prova della sua forza straordinaria: l’eroe allora conficcò in terra un enorme palo, che nessuno oltre a lui riuscì a divellere; dal gigantesco cratere lasciato nel terreno immediatamente scaturì dell’acqua bulicante (o bullicante), prodigio da cui deriva il nome “Bulicame” che ancor oggi identifica la sorgente principale del bacino termo-minerale viterbese.
Le origini delle terme di Viterbo si perdono dunque nel mito, creato per dare un’aura divina alla ricchezza e alle eccezionali virtù terapeutiche delle sue acque. È accertato, invece, che esse furono conosciute e apprezzate già dagli Etruschi: quando i Romani, all’inizio del III secolo a.C., riuscirono a varcare l’“orrenda e impenetrabile” Selva Cimina e a raggiungere le “opulente campagne d’Etruria” (Tito Livio), vi trovarono infatti insediata una civiltà dalla cultura termale già estremamente raffinata. Di essa fecero tesoro, costruendo attorno alle numerose sorgenti edifici sempre più maestosi che, fino a tutta l’età imperiale, resero la città di Viterbo — l’antica Surrena — un polo di notevole attrazione e prestigio per il patriziato romano.
Con la fine dell’impero romano e l’arrivo dei barbari (i Goti di Teodato), la zona subì però un inevitabile declino. Alla raffinatezza decadente della società romana si sostituì la rozza primitività degli invasori: ben presto la devastazione del territorio, il crollo della complessa struttura amministrativa romana, l’abbassarsi del tenore di vita della popolazione locale e il progressivo diffondersi del cristianesimo (che, condizionando ogni aspetto della vita quotidiana, faceva guardare con sospetto alle terme come luoghi di peccaminosa promiscuità) causarono il totale abbandono delle strutture termali viterbesi.
Fu solo a partire dal XIII secolo che riprese l'utilizzo, ma ormai unicamente a scopo terapeutico, delle sorgenti. Esse tornarono ad essere rinomate e ben frequentate: verso la fine del 1200 lo stesso Dante si trovò a passare per Viterbo e, colpito dalla grandiosità del “Bulicame”, lo immortalò di lì a poco nell’Inferno della sua Commedia (“Qual del Bulicame esce ruscello/ che parton poi tra lor le peccatrici/ tal per la rena giù sen giva quello...”: "Inferno", XIV, 79-81); un altro poeta toscano, Fazio degli Uberti, lo citò invece nel 1350 nel “Dittamondo”.
Nel Rinascimento diversi furono i pontefici, tra cui soprattutto Niccolò V e Pio II nel XV secolo, che fecero delle terme viterbesi la loro meta privilegiata per curarsi da malattie quali i reumatismi, la “podagra” (gotta) e il “mal della pietra” (calcoli renali). Favorendo negli anni il restauro e l’ampliamento degli stabilimenti, assicurarono alla città e alle sue strutture un nuovo periodo di fama e benessere, tanto che le terme viterbesi furono da allora chiamate “Terme dei Papi”.
Lungo il tracciato dell'antica via consolare Cassia (oggi non più visibile tranne che per un breve tratto a cavallo del Fosso Risiere) sorgevano, in epoca romana, ben 14 stabilimenti, di molti dei quali rimangono tracce importanti che, sebbene ormai abbandonate, ci ricordano la millenaria tradizione termale di Viterbo.
Tra di esse, le Terme del Masso o Massi di S. Sisto (Località Palliano): questi ruderi ben conservati, insieme a frammenti di tegole, marmi e terracotte sparsi nei campi circostanti, fanno pensare che il complesso si estendesse in maniera notevole. Circa 1,5 km più a nord scorre il Fosso Risiere, presso cui affiora l'unico tratto ancora visibile del pavimentum della Cassia antica.
Imperdibile, il trasporto della Macchina di Santa Rosa, parte integrante della storia e della cultura della città di Viterbo. Nel corso del 2013 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento da parte dell’Unesco, diventando patrimonio immateriale dell’umanità. La sera del 3 settembre, la Macchina di Santa Rosa, una “torre luminosa”, alta circa 30 metri, del peso di 5 tonnellate, viene trasportata a spalla da oltre 100 facchini, attraverso le vie strette e buie del centro storico della città. Per saperne di più, ascoltate cosa ci ha detto la guida turistica Luisa Botarelli nel nostro podcast.
A Viterbo come su un set cinematografico
Dopo Roma, la provincia di Viterbo è la zona del Lazio che ha ospitato il maggior numero di set cinematografici. Ad attrarre registi e produttori è la varietà del paesaggio che caratterizza questa terra: dai borghi medievali ai castelli e giardini rinascimentali, dal mare ai paesaggi tipici della Bassa Maremma, dai boschi dei Monti Cimini ai centri arroccati su speroni di tufo, dai laghi vulcanici alle antiche chiese romaniche dell’alto Lazio. Sono moltissimi i registi che hanno trovato in questo angolo di Italia la fonte di ispirazione per il proprio lavoro: da Pasolini a Fellini, da Benigni a Monicelli, da Visconti a Welles. Ancora oggi infatti non è raro passeggiare per il centro di Nepi o visitare Palazzo Farnese a Caprarola o Palazzo dei Papi a Viterbo e ritrovarsi nel bel mezzo di un set cinematografico.
Viterbo è protagonista dell’ “Otello” di Orson Welles, girato tra il capoluogo della Tuscia e Tuscania e vincitore del premio come miglior film al Festival di Cannes del 1952. Anche Fellini arrivò nella Tuscia per girare alcuni suoi film: trasformò Viterbo e Piazza delle Erbe in un angolo di Rimini ne “I Vitelloni” e ambientò alcune scene de “La strada” nella suggestiva Bagnoregio.
Indimenticabile l’“Armata Brancaleone” di Mario Monicelli. Nel film (era il 1966) Vittorio Gasmann interpreta Brancaleone da Norcia e attraversa l’Italia, incappando in una serie di peripezie con il suo gruppo di miserabili. L’intera opera fu girata nella Tuscia, tra Viterbo, Canino, Vitorchiano, Valentano, Civita di Bagnoregio con la Valle dei Calanchi, Bolsena, Nepi, Faleri Novii e il Soratte.
Altro grande regista legato a questa terra è Pier Paolo Pasolini, che scoprì la Tuscia mentre era alla ricerca di location per il suo “Vangelo secondo Matteo” e se ne innamorò tanto da sceglierla come sua seconda casa. Qui acquistò e ristrutturò una torre medievale nelle campagne di Chia, a Soriano nel Cimino e trascorse gli ultimi anni della sua vita. Sempre nella Tuscia Pasolini girò alcune sequenze della “Medea” e la famosa scena di Totò e Ninetto Davoli con alle spalle la Chiesa di San Pietro e le rovine del Castello del Rivellino di Tuscania in “Uccellacci Uccellini”.
Indimenticabile Alberto Sordi che nella Tuscia girò il celebre spezzone dell’ingorgo nel traffico de “Il Vigile” e una sequenza de “Lo scapolo” con Nino Manfredi. Sordi fu anche protagonista de “L’Avaro” di Tonino Cervi, registrato per la maggior parte tra Palazzo Giustiniani Odescalchi di Bassano Romano e Palazzo Farnese di Caprarola.
La natura incontaminata della Tuscia e le sue chiese hanno ispirato diversi registi alle prese con il racconto della vita di San Francesco di Assisi; Liliana Cavani scelse la Tuscia, Tuscania e i suoi dintorni per girare molte scene del suo “Francesco”. Sempre qui, Roberto Rossellini girò alcune scene di “Francesco, Giullare di Dio” e Franco Zeffirelli di “Fratello Sole, Sorella Luna”.
In tempi più recenti, “Le meraviglie” di Alice Rohrwacher è stato girato tra Acquapendente, San Lorenzo Nuovo e i borghi di tufo della Maremma Toscana.
Tra i luoghi della Tuscia inseriti all’interno di sequenze cinematografiche anche il delizioso laghetto del Pellicone, a Vulci, tra Montalto di Castro e Canino, teatro del memorabile incontro di Benigni e Troisi con Leonardo Da Vinci in “Non ci resta che piangere”.
Cinema, ma anche televisione; sono tantissime infatti le fiction e le serie tv che negli anni sono state ambientate e girate nella Tuscia. “Il maresciallo Rocca”, con Gigi Proietti e Stefania Sandrelli, è stato girato tra Piazza della Rocca e Palazzo dei Papi in Piazza San Lorenzo, a Viterbo, dove per l’occasione il seminario interdiocesano era stato trasformato nella caserma dei Carabinieri del Maresciallo Rocca e dei suoi uomini. Nella seconda e terza serie della fiction “I Borgia”, invece, le location scelte sono state le stanze e i giardini di Palazzo Farnese a Caprarola, le chiese romaniche di Tuscania e l’anfiteatro romano del Parco di Sutri. E ancora, Paolo Sorrentino: il regista premio Oscar per “La grande bellezza” ha scelto la provincia di Viterbo e in particolare Bagnaia con la sua favolosa Villa Lante per girare le scene della serie tv “The Young Pope”. In molti hanno avuto la fortuna di incontrare per i vicoli della frazione di Viterbo gli attori del cast internazionale tra cui Jude Law e Diane Keaton.
I borghi da non perdere
Affascinante borgo della Tuscia, Sutri (provincia di Viterbo) ha origini antichissime risalenti all’età del bronzo, ma fu fiorente soprattutto a partire dal periodo della dominazione etrusca. Nei primi secoli del Medioevo Sutri subì le sorti di molti altri feudi vicini, passando di mano in mano tra varie famiglie potenti fin quando Carlo Magno non decise di assegnarlo a sua sorella, ormai diseredata. Secondo la leggenda partorì qui, in una grotta, il famoso Orlando, nominato paladino di Francia da Carlo Magno. A Sutri tante e affascinanti sono le testimonianze del passato: un anfiteatro romano completamente scavato nel tufo; una necropoli etrusca formata da decine di tombe ricavate anch’esse nel tufo; mura etrusche incorporate da quelle medioevali; un mitreo poi tramutato in Chiesa (intitolata alla Madonna del Parto) e il Duomo di origine romanica. La Chiesa della Madonna del Parto è un edificio risalente al Medioevo ma ricopre, probabilmente, un mitreo di età romana, completamente scavato nel tufo e dedicato al dio Mitra, solo successivamente adibito a chiesa; tra i siti archeologici di pregio ricordiamo il Parco dell’Antichissima Città di Sutri, una vasta necropoli etrusca, rinvenuta sul colle di fronte al centro abitato, con tombe che vanno dal VI al IV secolo a.C.. Il campanile della Chiesa di San Silvestro ha una campana donata alla città della Contessa Matilde di Canossa, potentissima feudataria e alleata del Papato agli inizi del secolo XII. Il prodotto tipico locale per eccellenza è il fagiolo che secondo la leggenda popolare, riuscì ad alleviare i dolori di un attacco di gotta a Carlo Magno. A Sutri, durante la sagra a esso dedicata, viene servito in caratteristiche ciotole di terracotta. Da provare anche i fagioli della Regina, i ditalini alla militare e i tozzetti alla nocciola.
Sono due le leggende mitologiche che raccontano l’origine della città di Tuscania (provincia di Viterbo): la prima, riportata dallo storico romano Tito Annio Lusco, la vorrebbe fondata dal figlio di Enea, Ascanio, sul luogo del ritrovamento di dodici cuccioli di cane (da cui il nome latino Tus-cana) mentre una seconda indica come fondatore Tusco, figlio di Ercole e di Araxe. Pronti per una passeggiata tra le viuzze di Tuscania? Mettete un paio di scarpe da ginnastica, riempite le borracce e preparatevi a scoprire un borgo antico dove si respira ancora un’atmosfera medievale. D’obbligo una passeggiata tra i vicoli e le stradine dove il tempo sembra sospeso. Oltre ai suggestivi scorci, da non perdere una visita alla Chiesa di San Pietro, set di tante produzioni cinematografiche tra cui, come abbiamo visto, “L’Armata Brancaleone” e “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli. Vicino alla Chiesa è possibile visitare anche reperti etruschi che caratterizzano l’area della Tuscia. Gli amanti della gastronomia non possono esimersi da una visita a Tuscania: qui è possibile gustare un’ampia gamma di piatti tipici della Tuscia con il suo miscuglio di sapori autentici e genuini che riflettono quelli della cucina romana e toscana, ma che riprendono anche dalla semplicità della cucina umbra. Da non perdere i piatti aromatizzati con erbe selvatiche, olio nostrano e prodotti tipici, come le nocciole e le castagne dei Monti Cimini. Va da sé che queste influenze sono dovute alla posizione geografica del territorio, incastonato fra le altre due regioni del centro Italia.
A meno di 50 km sia da Roma che da Viterbo, Calcata è anche nota come il “borgo degli artisti”. È tra i più suggestivi abitati in Italia ‘naturalmente’ fortificati, con le stradine tortuose, vietate alle automobili, spesso affacciate sugli incredibili panorami che le forre di tufo, rossastre, regalano. La storia di Calcata ci racconta di un luogo abbandonato dagli inizi del ‘900, successivamente “occupata” da artisti, attratti da questo borgo fermo nel tempo, ideale come fucina di arte e artigianato: meno di mille abitanti, culturalmente vivacissima, ospita associazioni culturali, convegni, concerti, spettacoli teatrali e mercatini per lo shopping più stravagante. Scoprite gli studi e le botteghe di restauro nascosti sotto gli archi ricoperti di edera, fermatevi a osservare gli artigiani del cuoio, della ceramica, del vetro.
Il lago di Bolsena
Per chi è alla ricerca di relax e natura, basterà immergersi nei colori del lago di Bolsena per fare il pieno di energie e ricaricarsi, circondati da incredibili paesaggi naturali ma anche del vicino borgo. È il più grande lago di origine vulcanica d’Europa: si è formato infatti con il crollo dell’apparato vulcanico Vulsinio che, in seguito alle eruzioni laviche, si è svuotato ed è crollato su se stesso, formando un’enorme caldera, lentamente riempita dall’acqua. Tra le particolarità naturalistiche che lo distinguono, ve ne sono due di particolare interesse: le “sesse” e l’onda anomala. Le prime sono variazioni improvvise del livello delle acque interne, simili alle maree, ma al contrario di queste, del tutto imprevedibili. Determinate dalla pressione atmosferica o dai venti, possono anche raggiungere i 50cm. La seconda, più frequente e visibile con lago calmo, è un'onda che si presenta con un fronte di vaste proporzioni, che si rafforza man mano che avanza fino ad infrangersi violentemente sulle coste. Nel lago vi sono sono molti pesci e di varie specie. I principali presenti attualmente sono: l’ottimo coregone, il luccio, il persico reale, il persico trota, la carpa, la tinca, la scardola (qui chiamata impropriamente lasca) e infine il piccolo latterino, che spesso è preda di pesci predatori e di uccelli acquatici. Data l’abbondanza di cibo e della protezione a loro riservata, la presenza d’uccelli acquatici, specialmente migratori, è elevatissima.
I borghi sul lago
Bolsena è a due ore da Roma e 30 km da Viterbo. Imperdibili nel centro storico il cinquecentesco Palazzo Cozza Crispo (oggi Del Drago) e la Fontana di San Rocco, realizzata su commissione di Giovanni de’ Medici e tutt’oggi ritenuta dai bolsenesi miracolosa, tanto che il 16 agosto si celebra la benedizione delle acque. Tra le specialità culinarie da gustare, da provare assolutamente il coregone: è la specie di pesce più diffusa e più pescata del lago, la più nota per la qualità delle sue carni dal sapore delicato.
Sul lago affacciano anche Montefiascone, con il più bel panorama complessivo del lago; Marta, principale e attivo porto dei pescatori (patria della incredibile Barabbata, nota anche Festa delle Passate o Modonna del Monte: nel nostro podcast Luisa Botarelli ci racconta tutto su questa secolare tradizione); Capodimonte, sul pittoresco promontorio che si protende verso il lago; Valentano, con il suo ampio panorama dominante la conca del lago; Gradoli, su uno sperone di tufo all’interno del recinto craterico; Grotte di Castro, che conserva il fascino della struttura medioevale; San Lorenzo Nuovo, perfetto esempio di impianto urbanistico del Settecento; Isola Bisentina, attraente e sinuosa “come una bella donna” e l’Isola Martana, la famosa isola della Regina Amalasunta.
La Maremma
Da Piombino a Civitavecchia, affacciata sul mar Tirreno, incontriamo la Maremma. Convenzionalmente il territorio maremmano è suddiviso in tre zone, da nord a sud: Alta Maremma, storicamente nota come Maremma Pisana; Maremma grossetana; Maremma laziale. Da nord a sud, nel nostro podcast Monica Bacci, guida ambientale, turistica e archeologica, ci conduce attraverso alcuni dei centri più belli.
La Costa degli Etruschi è un tratto di litorale caratterizzato dall’intensità della natura e dalla forza dei suoi colori, dalle spiagge belle e diverse e dall’impronta di una storia millenaria. Questo era il territorio costiero prediletto dagli Etruschi, che qui hanno lasciato in ogni angolo tracce che invitano alla scoperta di zone affascinanti e misteriose. Proprio lungo questa costa edificarono Populonia, la loro unica città sul mare, adagiata sul golfo di Baratti. La necropoli lascia immaginare i desideri e i segreti di questo popolo misterioso, mostrando una grande quantità di reperti.
Un modo ideale per avventurarsi alla scoperta della Costa degli Etruschi è seguire l’Aurelia: si può partire lasciandosi alle spalle Livorno, oppure procedere da sud, un po’ come fanno Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant nel “Sorpasso”, ma da qualunque punto si parta, si scopriranno scogli e poi sabbia, come accade a Castiglioncello, dove il verde costiero assume le forme di una fitta pineta mentre, più distante dal mare, diventa un’impenetrabile macchia di vegetazione.
Percorrendo la costa si trova tutto: la sabbia scura o quella fine e chiara, le spiagge attrezzate o le distese libere poco affollate. Ma non mancano le possibilità per un viaggio fatto di passeggiate a piedi o a cavallo, dalle pinete di Vada fino a Piombino, passando per San Vincenzo, oppure costeggiando i cipressi “alti e schietti” tanto cari a Giosuè Carducci. Quanto a relax, il top è Venturina, con le sue terme. Non mancano nemmeno le idee per la famiglia, come il parco archeominerario di San Silvestro, con il suo trenino in partenza per le profondità delle miniere.
Rientrando un poco, ci sono Suvereto (con la strana storia del re che finì bollito: per saperne di più, ascoltate il nostro podcast) considerato uno dei borghi più belli d’Italia; l’arroccata Sassetta o le stradine di Montescudaio e Guardistallo.
E la cucina? Dai piatti di mare come il cacciucco ai piatti di terra come le zuppe di verdure e poi il vino, che da queste parti raggiunge livelli di assoluta eccellenza. Dal Bolgheri al Sassicaia le etichette di questo territorio sanno inebriare con classe assoluta.
Poi c’è Massa Marittima, città natale di San Bernardino da Siena. Caratteristica di Massa, è la Fonte dell’abbondanza, antica fonte pubblica sopra la quale, in un secondo momento, venne realizzato un grande magazzino utilizzato come granaio pubblico. Questa struttura venne chiamata Palazzo dell’Abbondanza. Nel 1999, durante un restauro, sotto vari strati di intonaco e calcare fu rivenuto casualmente l’Albero della fecondità, affresco risalente tra 1265 e 1335 decisamente particolare: si tratta di un grande albero tra le cui foglie pendono 25 falli maschili eretti sotto al quale due donne si accapigliano nel contendersene uno. Sopra le loro teste, grandi aquile nere e altre figure di dubbia interpretazione. Il suo significato? Non v’è certezza. Augurio all’umanità o rappresentazione della lotta tra guelfi e ghibellini?
Il Monte Argentario
Il Monte Argentario è uno splendido promontorio circondato dal mare e collegato alla costa dai tomboli della Giannella e da un istmo artificiale che corrisponde alla diga di Orbetello. È un comune diffuso che si estende a sud della Maremma grossetana e ha i suoi due principali centri a Porto Santo Stefano e Porto Ercole. Conosciuto come località di villeggiatura per le sue numerose spiagge e calette, è un luogo ricco anche di testimonianze storiche. Conosciuto e frequentato già nell’antichità, ha conservato alcuni gioielli storici sparsi sul tutto il territorio.
Cosa vedere? Partiamo da Porto Santo Stefano. Porto Santo Stefano si affaccia sul versante settentrionale della penisola, ed è una pittoresca località balneare. Molto apprezzata la passeggiata sul lungomare disegnato da Giorgetto Giugiaro e il porto, dove si incontra la vera anima marinara della cittadina. Da qui si può partire per esplorare la vicina Isola del Giglio. Il monumento più rappresentativo di Porto S.Stefano è la Fortezza Spagnola costruita a scopo difensivo all’epoca dello Stato dei Presidi e che oggi ospita le mostre permanenti: Memorie Sommerse, con reperti archeologici rinvenuti nei suoi fondali e Maestri d’Ascia dedicata ai vecchi costruttori di navi e barche per pescatori. Addentrandosi nel verde della del Monte Argentario, è possibile visitare il Convento dei Frati passionisti, un affascinante santuario costruito nel 1737 da San Paolo della Croce. Innumerevoli sono le spiagge e calette dell’Argentario: tra queste vi è la vicina spiaggia della Giannella di sabbia fine e chiara e circondata da un mare blu cobalto. Bellissime, ma non attrezzate, sono Cala del Gesso e Cala Grande, perfette per il relax lontano dalle rotte più battute.
In posizione speculare, ma a sud del monte Argentario, c’è Porto Ercole, dal 2004 annoverato tra i borghi più belli d’Italia. Lungo stretti vicoli si arriva alla parte più antica del paese, dove si trova la Chiesa di Sant’Erasmo, che custodisce al suo interno le tombe dei governanti spagnoli. La porta d’accesso è sormontata dalla Torre dell’Orologio dove un’iscrizione ricorda che lì ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita il grande Caravaggio, in fuga per i problemi con la legge. Ecco una curiosità legata alla sua misteriosa morte avvenuta qui il 18 luglio 1610: proveniente da Napoli con una feluca, il pittore sarebbe giunto ormai moribondo sulle spiagge della Feniglia, e quindi ricoverato nella Chiesa di Sant’Erasmo. I suoi resti – mai identificati – sarebbero stati seppelliti nel vecchio cimitero di San Sebastiano, dove oggi sorge il centro del borgo nuovo. Oltre alle bellezze naturali, il fascino di Porto Ercole deriva dalle imponenti fortezze spagnole che vennero edificate nel XVI° sec. durante lo Stato dei Presidi: Forte Filippo, la Rocca e Forte Stella sono tre fortificazioni perfettamente conservate da cui si possono ammirare meravigliosi panorami sul mare.
A Porto Ercole è da apprezzare il bellissimo mare: dalla splendida spiaggia della Feniglia alle tante calette che partendo da qui è possibile raggiungere lungo la costa di tutto il promontorio. Un’occasione per visitare questo angolo di paradiso può essere il Palio Marinaro dell’Argentario che si disputa ogni anno a Ferragosto dal 1937. La gara tra i quattro rioni del paese rievoca il forte legame del territorio con il mare. Da non perdere, nei dintorni, il Parco della Maremma, l’oasi verde di 9 mila ettari che si estende lungo il tratto di costa compreso tra Principina a Mare e Talamone, nei comuni di Grosseto, Magliano in Toscana e Orbetello. Dal Monte Argentario è possibile visitare anche uno dei luoghi balneari più rinomati di tutta la costa toscana: Castiglione della Pescaia. Per quanto riguarda l'aspetto enogastronomico, troviamo una cucina che riesce ad unire i sapori genuini della terra e del mare. Ma è proprio dal mare che arriva l’ingrediente principale per il piatto per eccellenza: la zuppa di pesce. Originariamente preparata dai pescatori a bordo dei pescherecci con il pescato di giornata, è il piatto tipico del luogo.
Cala Violina
Se cercate il mare, quello vero e un po’ selvaggio ci sono pochi posti come le cale del promontorio meridionale del golfo di Follonica. Sono luoghi rinomati in tutta Italia per la loro bellezza incontaminata e offrono sentieri e paesaggi irripetibili in ogni momento dell’anno. La più celebre di tutte è Cala Violina. La leggenda vuole che un violinista innamorato vi abbia suonato conferendo alla sabbia una consistenza tale che, camminandoci, pare che suoni un violino. La caletta è racchiusa tra due promontori tra i quali si stende una stretta lingua di sabbia molto chiara. L’acqua è cristallina ed è perfetta per gli appassionati di snorkeling. Meno famosa ma suggestiva la più piccola Cala Martina, dove approdò niente meno che Giuseppe Garibaldi in una delle sue scorribande maremmane: qui non c’è sabbia, soltanto sassi. Ancora più piccola la Cala terra rossa, la più vicina a Follonica, si trova all’ingresso del Parco delle Costiere. Il nome deriva dall’attività delle miniere limitrofe nel corso del 900 corso, quando i piroscafi caricavano la pirite in prossimità del vicino promontorio. Sono ancora oggi visibili, testimoni ed esempi di archeologia industriali, i resti degli impianti che servivano a caricare sulle navi il materiale. Spingendosi invece verso Punta Ala si incontra Cala Civette. La spiaggia è dominata dalla Torre Civette, visibile anche dal litorale follonichese. Grande come Cala Violina e dotati parimenti di fondale sabbioso è molto meno famosa e meno frequentata anche in alta stagione. L’assenza totale di stabilimenti balneari e urbanizzazione su queste quattro cale le rende un unicum sulla costiera toscana e le preserva dalla rovina mantenendone, da secoli, intatto il fascino.
Tuscia da gustare
Territorio vasto e variegato, come tutta la nostra penisola è anche scrigno di tesori enogastronomici. Dalla palamita del mare della Toscana, presidio Slow Food al tonno briao – ubriaco – di Bolgheri; dalle castagne dei boschi di Sassetta alla schiaccia campigliese, fino ai cocomeri e meloni della Val di Cornia. Menzione d’onore per un pesce d’acqua dolce, l’anguilla del lago di Bolsena. Già nota ai romani per la sua bontà, raggiunse il massimo della notorietà nel Medioevo, tanto da essere citata dal sommo poeta che in un canto del Purgatorio scrisse: “.. e quella faccia di là da lui più che l’altre trapunta ebbe la santa Chiesa in le sue braccia: dal Torso fu e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia”. Questi versi si riferiscono a un voracissimo papa, ghiotto di anguille: Martino IV, al secolo Simon de Brion, nato nel 1220, passato alla storia più per l’appetito che per l’impegno pastorale. Sembra che Martino lasciasse annegare le anguille di Bolsena nel vino di vernaccia, poi le faceva arrostire. Vernaccia e anguilla sono ancora un binomio in uso nella cucina del lago viterbese, solo che ora il vino viene utilizzato per marinare l’anguilla già morta, pulita e tagliata a pezzi.
Ascolta il podcast Robintur dedicato all'Etruria.
Settembre 2020
il mondo secondo robintur
Città che rimangono nel cuore, panorami indimenticabili, esperienze imperdibili: leggi e lasciati ispirare.